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Per suonare insieme bisogna imparare ad ascoltare gli altri

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Imparare ad ascoltare gli altri. Questa è la prima semplice ma fondamentale regola di quando si suona insieme. Più si è e più ci si deve ascoltare, lasciare spazio, accompagnare per valorizzare l’espressione dell’altro senza sovrastarlo.

Un gruppo musicale suona bene se segue queste semplici regole. Un gruppo musicale suona bene se lascia da parte l’individualismo ed entra in una vera e propria “etica di gruppo”, dove del “gruppo” fa parte anche il pubblico. Suonare insieme non significa creare la somma dei suoni degli strumenti. Suonare insieme significa mettersi a disposizione del prossimo per costruire qualcosa di “altro”, unico e irripetibile. Fuoriuscire da sé stessi per arricchire il tutto. Questi principi, che a me ricordano gli studi che facevo ai corsi di filosofia sulla dialettica hegeliana, mi confermano quanto la musica sia socialmente utile e educativa se la si impara ad ascoltare un po’ più a fondo.

Per questo motivo, oggi vorrei proporre una brevissima guida all’ascolto di un trio jazz composto da Amedeo Ariano alla batteria, Francesca Tandoi al pianoforte e Luca Bulgarelli al contrabbasso, sperando anche di andare a colmare quella voglia di musica dal vivo, che sta intristendo l’animo di molti appassionati.

Ho avuto la fortuna di ascoltare questa band in una calda serata romana dell’estate 2019. Mi colpì la loro musica, ma soprattutto il loro affiatamento e la loro empatia sul palco mentre si esibivano. Luca Pacetti, il fonico di quel concerto, decise di registrare la loro performance. Questa registrazione divenne successivamente un disco, che potete ascoltare cercando su Spotify e su tutti gli altri digital stores “Amedeo Ariano Triplets (Live in Roma)”.

Se non disponete di un impianto adeguato, vi basterà indossare delle buone cuffie per cogliere alcuni piccoli dettagli che vi riporteranno a quella calda serata romana. L’audio della registrazione è stato curato al fine di restituire all’ascoltatore un’esperienza il più possibile realistica del concerto dal vivo. Se prestate attenzione, vi renderete conto che gli strumenti musicali occupano un preciso spazio sonoro: il pianoforte lo sentirete più nell’orecchio sinistro, il contrabbasso lo sentirete al centro, mentre la batteria la coglierete più verso l’orecchio destro. Esattamente come erano disposti sul palco. Una precisa “fotografia audio” di quel preciso concerto. Se siete ancora più attenti, vi accorgerete anche dei suoni di sottofondo che circondano l’ambiente: un palco all’aperto su una terrazza del Gianicolo, con un pubblico che qualche volta si concede un rispettosissimo chiacchiericcio.

Questa “fotografia” prenderà vita e realizzerete il perfetto equilibrio tra i tre musicisti. Ognuno al suo posto, senza invadere lo spazio dell’altro, ma occupandolo con discrezione e a sostegno del prossimo. Batteria e contrabbasso tengono il ritmo, a volte fanno “il lavoro sporco” a favore della melodia del piano e della voce, ma lo fanno con personalità ed entusiasmo, non per mera imposizione musicale.

Il piano può sembrare il protagonista indiscusso della scena, ma se ascoltate bene non è esattamente così: ciò che vene a crearsi è una fusione perfetta tra i suoni dei tre strumenti, che portano sul palco un protagonista “altro”, come accennavo all’inizio del mio discorso. Stiamo parlando di musica jazz e di musicisti eccezionali, quindi è naturale che venga lasciato spazio a degli assoli, ma non colgo “personalismi” o “leadership”, sto assistendo soltanto a un gran bello spettacolo di musica fatta insieme!

Probabilmente sarò un esaltato idealista, ma sono convinto che se la musica fosse proposta più spesso in questo modo, con una cura nella registrazione al fine di garantire al pubblico un chiaro ascolto e con una valorizzazione del linguaggio sonoro, la nostra società sarebbe migliore e imparerebbe, finalmente, ad ascoltare e ad ascoltarsi.