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Sfruttiamo musica e spettacolo per il rilancio del Paese

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Il 21 giugno abbiamo celebrato la Festa della Musica. La “Fête de la Musique” è nata in Francia nel 1982, promossa dall’allora Ministro della Cultura Jack Lang, che invitava tutti i musicisti, professionisti e non, a suonare per le strade della propria città. Un’iniziativa che, a mio parere, in Italia finora non è stata degnamente onorata, tranne qualche splendida eccezione come “La Festa della Musica di Torino”.

La Festa si è svolta prevalentemente on-line. “Il 21 giugno suona online e tagga…” recitava la locandina informativa del Comune di Roma. Non mi dilungo nelle polemiche già innalzate (anche se vorrei) interrogandomi sul motivo per cui se è possibile fare delle manifestazioni nel pieno centro di Roma senza nessuna attenzione al contingentamento, per giunta arrivando anche alla colluttazione, perché non si possono organizzare dei concerti senza una macchinosa burocrazia e conseguente perdita economica? Né intendo paragonare La Festa della Musica a Feste Nazionali di maggiore importanza come il 25 aprile o il 1° maggio. Però, a dirla tutta, mi aspettavo di più. Non tanto dal giorno della Festa della Musica, ma da questa, seppur lenta, ripresa.

Alcuni concerti, i più “controllabili”, ripartiranno. Le discoteche pare che potranno riaprire con l’obbligo di ballare a due metri di distanza. “Si pensava al peggio, ma alla fine così male non è andata” ci diciamo tra colleghi di un settore obbligato ad accontentarsi di provvisorie “toppe” e non di concrete e innovative soluzioni. Ci basta pubblicare una foto con un cartello di protesta per far parte del “movimento rivoluzionario degli hashtag”.

Proprio oggi che la musica accompagna le manifestazioni antirazziste di tutto il mondo. Proprio oggi che la musica può raccontare e significare davvero qualcosa. Proprio oggi che la musica e lo spettacolo dal vivo possono essere sfruttati come mezzi per il rilancio e la rivalorizzazione di altri settori in crisi. Proprio oggi la musica continua ad essere “sottofondo” e gli artisti dei “volenterosi filantropi”. C’è il rischio di un progressivo e generale appiattimento, di un continuo accontentarsi di quel poco che ci viene concesso e di entrare a far parte del “movimento rivoluzionario degli hashtag”.

Io mi oppongo. E ancora una volta, per quel poco che conta, mi appello alla creatività di giovani come me che fanno parte del settore musicale. Noi possiamo cambiare davvero le cose e non è la solita retorica, bensì la realtà dei fatti. Siamo una generazione in corto circuito, perché educata all’ambizione in un sistema che si accontenta; ma possiamo e dobbiamo fare molto di più, facendo tesoro delle (poche) imprese straordinarie che sono state realizzate durante il lockdown.

Prima tra tutte, il concerto di Travis Scott sul noto videogioco Fortnite. Per chi non lo sapesse, la rapstar americana ha “spostato” il suo tour mondiale all’interno di uno dei videogames più in voga, coinvolgendo più di 12 milioni di spettatori. Un successo senza precedenti, irripetibile per effetti speciali e per la presentazione in anteprima di un brano inedito. Unicità e innovazione. Un’iniziativa che mette al centro l’arte come simbolo e veicolo del preciso messaggio “si può fare!” e come fonte di business anche per altri settori. Quindi, cambiamo slogan! Non tanto sui social, quanto nella nostra testa. C’è tanto da fare ed è arrivato il momento giusto per farlo.